D&Fnews2011

VENEZUELA (06/07) “Non siamo più un colonia di qualcuno e non lo saremo mai più”. Dal palazzo presidenziale di Caracas, Hugo Chávez, reduce da un intervento chirurgico a Cuba per un cancro che lo ha tenuto per circa un mese fuori dal Venezuela, ha presieduto simbolicamente la parata militare per il Bicentenario della proclamazione dell’indipendenza del paese sudamericano dalla corona spagnola (5 luglio 1811). Rientrato a sorpresa in patria lunedì, Chávez, in procinto di compiere 57 anni, non ha potuto sedere accanto ai colleghi Fernando Lugo, del Paraguay, Evo Morales, della Bolivia, José Mujica, dell’Uruguay e ai capi delle diplomazie di tutta l’America Latina, giunti per l’occasione nella capitale venezuelana. “Dopo aver perso l’indipendenza, da 10 anni il Venezuela l’ha recuperata” ha aggiunto il presidente, riferendosi al suo arrivo al potere nel 1999. Ammettendo di essere ancora convalescente, Chávez ha comunque invitato la popolazione a celebrare insieme il 24 giugno 2021 il bicentenario della battaglia di Carabobo che consacrò definitivamente l’indipendenza del Venezuela e l’ha esortata a “sconfiggere chiunque, dentro e fuori, intenda rovesciare la patria”.

Le forze armate hanno svolto un ruolo di primo piano nelle celebrazioni e in pochi, tra gli osservatori, dubitano che saranno decisive per il futuro politico del paese se la malattia di Chávez, un ex paracadutista, protagonista nel 1992 di un fallito golpe, dovesse costringerlo a farsi da parte.

Ma se per gli alleati di Chávez i vertici militari sono rimasti solidamente uniti e leali al presidente – come fu dimostrato tra l’altro in occasione del golpe da lui subito nel 2002 e rientrato nel giro di 48 ore – per i suoi detrattori emergerebbero invece sempre più nette le divisioni interne tra chi appoggia la politica socialista della ‘Rivoluzione Bolivariana’ – così ribattezzata in onore del ‘libertador’ latinoamericano, Simón Bolívar – e chi vi si oppone. Secondo questi ultimi, esisterebbero molteplici fazioni all’interno delle forze armate, inclusa una buona parte di ufficiali di medio rango, militari professionisti, senza affiliazioni con il governo Chávez e che non avrebbero nascosto il loro malessere anche per il nuovo saluto militare istituito dal presidente, “Patria socialista o muerte!”. Altri si dicono certi che se Chávez si riprenderà pienamente le tensioni si dissiperanno in vista delle elezioni presidenziali del 2012 in cui il capo dello Stato cercherà una nuova riconferma.

SOMALIA(6/07) Almeno 35 persone sono rimaste uccise in violenti scontri tra clan nomadi rivali nelle regioni centrali del paese. Lo riferisce la stampa somala secondo cui le violenze si sarebbero verificate nelle zone di Galmuduug, Hima e Heeb e avrebbero causato tra l’altro almeno un’ottantina di feriti.

Come spesso in passato e sempre di più a causa di una siccità che sta affamando intere popolazioni del Corno d’Africa, oggetto del contendere tra i due rivali è stato l’accesso alle risorse idriche e ai pochi terreni da pascolo.

Fonti locali, citate oggi dal quotidiano kenyano The Standard, riferiscono di tentativi da parte dei membri anziani di ricomporre la frattura e ridurre le tensioni crescenti. Incontri tra i capi tradizionali sarebbero in corso a Galkayo, nord di Mogadiscio e Adado.

Le rinnovate tensioni, in un paese che non conosce governo stabile dalla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991, arrivano mentre i paesi dell’Africa Orientale “accolgono un aumento dei fondi stanziati dal governo americano per contrastare gli Al Shabab e il terrorismo di matrice somala” osserva il settimanale ‘The East African’.

Nell’ambito della nuova politica contro il terrorismo annunciata di recente da Washington, l’Africa non sembra infatti marginalizzata: il Kenya riceverà 12 milioni di dollari in equipaggiamento aereo e programmi di addestramento, Gibuti – che ospita una base da guerra americana – 17, e circa 50 milioni saranno versati ai governi ugandese e burundese, principali fornitori delle truppe della missione di pace dispiegata a Mogadiscio (Amisom).

“Una strategia – osserva il settimanale – in linea con l’invio di droni nello spazio aereo somalo e il bombardamento, la scorsa settimana, di alcune basi dell’insurrezione, che lascia presagire una prossima escalation del coinvolgimento americano nel conflitto”.

REPUBBLICA DEL CONGO (25/05) Un nuovo attacco dei ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore si è verificato nei giorni scorsi nei pressi di Bondo, nel nord del paese. I ribelli hanno rapito tra le 15 e 18 persone, di cui cinque sono riuscite a fuggire. A denunciarlo, con un breve messaggio pubblicato sul sito della Conferenza episcopale congolese, è monsignor Etienne Ung’eyowun, vescovo della diocesi, che riferisce inoltre di una condizione di “grave insicurezza” nella regione in cui sono assenti o insufficienti i soldati dell’esercito regolare, mentre mancano del tutto forze della missione Onu, dispiegate in altre zone del paese. Fondato negli anni ’80 nel Nord Uganda l’Lra, che fa capo al predicatore Joseph Kony, ha agito per circa un ventennio nelle regioni del Nord Uganda, saccheggiando e brutalizzando i civili delle comunità Acholi. Dopo un difficile negoziato di pace, mai concluso, il gruppo si è sparso nei territori di confine tra Repubblica democratica del Congo, Centrafrica e Sudan, continuando a seminare paura tra i civili. Secondo un recente bilancio stilato dalle ong che operano sul terreno, da settembre 2008 l’Lra ha ucciso 2400 persone e ne ha rapite 3400.

MIGRANTI AFRICANI (25/05) Sta diventando più difficile la situazione di alcune migliaia di migranti bloccati a Zouarké, piccolo villaggio del Ciad al confine col Niger. Arrivati lì in fuga dal conflitto libico, i migranti, circa 3800, dipendono da un pozzo di alcune decine di metri per gli approvvigionamenti d’acqua e da settimane sono rimasti bloccati in questa località di non più di 20 capanne senza avere la possibilità di proseguire. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che ha potuto inviare sul posto un suo gruppo di lavoro per una valutazione del caso, la situazione diventerà ancor più difficilmente sopportabile con l’arrivo, previsto nelle prossime ore, di 16 camion a bordo dei quali si troverebbero altri 1200 migranti. In una nota di mercoledì scorso, l’Oim sottolinea come acqua e generi alimentari siano insufficienti e come lo stesso accesso all’acqua sia diventato causa di tensioni. Diversi migranti hanno inoltre contratto malattie, tra cui molti il morbillo, ma non hanno accesso a servizi sanitari e almeno 15 hanno perso la vita a Zouarké o durante il viaggio. Zouarké si trova a metà strada lungo il percorso per Faya, città settentrionale del Ciad, ed è una tappa obbligata per evitare i campi minati della striscia di Aozou, area desertica che separa la Libia dal Ciad.

FUGANDA La decisione della Corte penale internazionale (Cpi) di formalizzare l’accusa di genocidio contro il presidente sudanese Omar Hassan al Beshir, già oggetto di un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur, “contribuisce a destabilizzare la situazione politica nel paese”: lo ha detto il Segetario generale della Lega Araba, Amr Moussa, aggiungendo le sue critiche a quelle già espresse nei giorni scorsi dall’Unione Africana e dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad). Anche l’inviato speciale degli Stati Uniti in Sudan, Scott Gration, secondo il quotidiano ‘Sudan Tribune’ si è detto “non soddisfatto” dalla decisione della Camera preliminare della Cpi, precisando che contribuirà a rendere la sua missione “più difficile”. Subito dopo la pubblicazione della sentenza, il governo sudanese aveva definito la Corte penale internazionale “un tribunale politico” poiché gli annunci delle sue decisioni “giungono sempre quando il Sudan è impegnato in fasi critiche per la pace in Darfur o la messa in atto dell’accordo globale di pace”. La sentenza emessa due giorni fa è seguita al ricorso del procuratore generale Luis Moreno Ocampo per non aver incluso la specifica di “genocidio” accanto a quella di “crimini contro l’umanità” nel primo mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte nel Marzo del 2009.

FNORD KIVU 16/07 Sono stati almeno 70.000 i civili costretti alla fuga nelle ultime settimane in seguito a combattimenti avvenuti nella provincia del Nord Kivu. Lo ha sostenuto Elisabeth Byrs, portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) sottolineando in particolare la critica situazione della regione attorno a Beni dove si confrontano militari dell’esercito congolese (Fardc) e ribelli ugandesi dell’Alleanza delle forze democratiche dell’esercito nazionale per la liberazione dell'Uganda (Adf-Nalu). Byrs ha aggiunto che gli scontri stanno minando l’efficacia degli aiuti umanitari con 68 attacchi, nel solo 2010, a convogli di organizzazioni non governative. A rischio, secondo l’Ocha anche per problemi finanziari, sono gli aiuti diretti a 180 mila minori di un anno che hanno bisogno di vaccini, 100 mila minori di cinque anni che necessitano di trattamenti anti-malaria e 200 mila minori a rischio malnutrizione.

FCOSTA D'AVORIO Il nuovo governo dovrà condurre il paese alle elezioni, sarà questa la sua missione: sono queste, in sintesi, le parole del primo ministro Guillaume Soro a conclusione del primo consiglio dei ministri del suo nuovo esecutivo. “Sarà un governo con una missione ben precisa ovvero quella di traghettare il paese per i prossimi tre, quattro mesi” ha aggiunto. Ai giornalisti che gli chiedevano conto della formazione governativa, Soro ha confermato che restano tuttora da nominare 11 dei 27 ministri previsti; poltrone che saranno occupate da rappresentanti dell’opposizione. “Abbiamo informato il consiglio dei ministri – ha detto Soro – che stanno proseguendo le consultazioni con i partiti che fanno parte della coalizione di opposizione Rhdp, al fine di completare la costituzione del nuovo governo con accettabili candidature per i ministeri rimasti vacanti”. Qualche ora dopo le dichiarazioni di Soro, l'opposizione ha annunciato l'ingresso nel governo e invitato i suoi sostenitori a terminare ogni manifestazione. Secondo un calendario concordato dai partiti ivoriani con il mediatore degli accordi Blaise Compaoré (presidente del Burkina Faso), le elezioni presidenziali dovrebbero tenersi tra la fine di Aprile e gli inizi di Maggio

FBRASILE 25/02 “Se un governo ha fatto molte cose buone, allora bisogna guardare al passato per tracciare il futuro”. Dilma Roussef, segretaria generale dell’esecutivo di Luiz Ignácio Lula (nella foto sopra ndr), ha rilasciato solo brevi dichiarazioni ai giornalisti al termine della prima giornata di lavori del IV Congresso del Partito dei lavoratori (Partido dos Trabalhadores, Pt) aperto ieri a Brasilia. Nessun dubbio sulla sintonia con Lula, anche nella politica estera che, ha detto, “dovrà basarsi sulla cooperazione e la solidarietà, soprattutto con l’America Latina e l’Africa per contribuire a ridurre gli abissi sociali comuni a entrambe le regioni”. Economista, 62 anni, originaria di Belo Horizonte, Roussef si è presentata per la prima volta ufficialmente come pre-candidata per le elezioni presidenziali del prossimo Ottobre: domani sarà il Congresso del Pt a proclamarla ufficialmente candidata alla successione di Lula, giunto quasi alla fine del suo secondo mandato consecutivo, nomina che sarà poi ratificata da una convenzione nazionale prevista per fine Marzo. Roussef, un passato nella militanza socialista dopo il golpe militare del 1964 e in seguito in due movimenti guerriglieri (militanza che tra il 1970 e il ‘72 gli costò il carcere, dove fu vittima di tortura), è la prima donna a presentarsi alle elezioni presidenziali brasiliane con concrete possibilità di vittoria: tutto indica che il suo principale rivale sarà il socialdemocratico José Serra, governatore di San Paolo, già sconfitto nel 2002 da Lula, che per ora la scavalca nei sondaggi

F HAITI 01/02 Sono da ricostruire i tre quarti della capitale Port-au-Prince, devastata dal terremoto del 12 Gennaio e dalle decine di repliche successive: questa la valutazione dell’entità dei danni, più di due settimane dopo il dramma, fornita da Paul Farmer, vice inviato speciale delle Nazioni Unite per Haiti, dinanzi alla commissione Esteri del Senato americano. Nella vicina Leogâne, i danni hanno coinvolto il 90% della località e soltanto in queste ore dovrebbero cominciare le attività di sgombero delle macerie. Ingenti i danni registrati anche nelle città meridionali di Petit-Goâve e Jacmel. Secondo il personale sanitario straniero e locale all’opera nell’assistenza alle migliaia di feriti, il periodo di “emergenza medica” potrebbe durare ancora tra due e tre mesi, e il tempo necessario alle cure post-operatorie sarà ancora più lungo. Emergono in questi giorni nuove preoccupazioni per i numerosi bambini rimasti orfani, in alcuni casi abbandonati a se stessi e sottoposti a molti rischi. Fonti missionarie ad Haiti sottolineano inoltre le difficoltà, a lungo termine, con cui si trova confrontata la maggior parte della popolazione: “Quasi tutti continuano a dormire all’addiaccio, sotto tende di fortuna o date dalla rete di solidarietà internazionale. Ma qui la gente non ha più una casa, non ha più un lavoro, non ha più uno stipendio, come si potrà andare avanti?” s’interroga padre Claude Fortin, missionario dei Chierici di San Viatore, unico di nazionalità canadese ancora rimasto ad Haiti. Finora i fondi raccolti o promessi dalla comunità internazionale hanno raggiunto 1,45 miliardi di euro, di cui oltre la metà è stata già prelevata da agenzie e organizzazioni umanitarie. Ieri, è stato peraltro consegnato al Programma dell’Onu per lo sviluppo l’assegno di 2,5 milioni di dollari (pari a poco meno di due milioni di euro) offerto dal governo della Repubblica democratica del Congo per Haiti. Dopo una prima riunione internazionale tenuta il 18 Gennaio, la Repubblica dominicana ospiterà il prossimo 14 Aprile un secondo vertice per la ricostruzione di Haiti, su richiesta del presidente haitiano.

F KENYA 30/01Cresce il divario tra ricchi e poveri nel paese dell’Africa orientale, secondo un rapporto realizzato dal governo di Nairobi in vista della prossima conferenza sull’urbanizzazione promossa dalle Nazioni Unite a Rio de Janeiro a Marzo. Secondo lo studio keniano, gli abitanti poveri delle principali città del paese hanno sempre più difficoltà ad accedere a servizi minimi di base, quali istruzione, sanità, infrastrutture dignitose e diritto al lavoro. La disparità nelle forniture di servizi essenziali come acqua potabile ed elettricità è in aumento soprattutto a Nairobi, Mombasa, Kisumu, Eledoret e Nakuru. In base ai dati contenuti nello studio sulla distribuzione dei redditi nel paese, il 10% dei cittadini più abbienti fa proprio il 44% della ricchezza nazionale, mentre il 10% dei più poveri riesce a ottenere meno dell’un per cento del totale prodotto. I dati, secondo gli autori del rapporto sono allarmanti, poiché il Kenya ha il secondo più grande divario tra ricchi e poveri al mondo. “In Kenya – hanno detto i ricercatori del ministero per l’Abitazione e le politiche locali – la disuguaglianza tra gli abitanti nelle città aumenta più rapidamente degli sforzi posti in essere per garantire loro stesse possibilità e condizioni sociali: è necessario ancora un maggiore sforzo per evitare che il divario polarizza la società, creando divisioni difficilmente sanabili”.

FTOGO 11/01 Diversamente da quanto annunciato ieri, secondo il giornale francese sportivo "L'Equipe" i giocatori della nazionale di calcio del Togo intenderebbero partecipare alla Coppa d'Africa per nazioni che comincia oggi in Angola. Indagini sono in corso sull'agguato di Venerdì che ha causato la morte di due dirigenti della squadra e dell'autista dell'autobus su cui i calciatori si stavano recando in Angola; in nottata si era anche diffusa la notizia - poi smentita - di una quarta vittima, il portiere Kodjovi Obilale, che resta invece ricoverato in un ospedale sudafricano, in condizioni gravi a causa delle ferire riportate

F REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 10/01 “Una politica nuova nelle relazioni internazionali”, soprattutto rispetto alla Repubblica democratica del Congo e alle sue regioni orientali, da oltre 15 anni “in stato di emergenza e guerra”: a chiederlo, in una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sono gli attivisti della rete “Pace per il Congo”. La constatazione di base è che la violenza nell’est della Repubblica democratica del Congo è legata allo “sfruttamento illegale” delle risorse minerarie della regione, dalla cassiterite al coltan, dall’oro al wolfram, dal petrolio al metano. “Per dividersi questa torta mineraria senza sporcarsi le mani con sangue innocente – scrivono gli esponenti di ‘Pace per il Congo’ - bisognava trovare chi la tagliasse i pezzi: le multinazionali e i governi occidentali hanno confidato lo sporco compito ai paesi limitrofi, soprattutto al Ruanda e all'Uganda, approfittando dei loro obiettivi espansionisti sul territorio congolese”. Nella lettera si sostiene che nelle province del Nord e del Sud Kivu “l’esportazione fraudolenta dei minerali è aumentata in modo significativo dal Gennaio scorso”, con gli accordi tra Kigali e Kinshasa e l’avvio nell’area di una serie di operazioni militari congiunte. L’idea è di “uno scivolamento verso un’occupazione del Kivu” da parte del Rwanda, anche attraverso il continuo afflusso di “sedicenti profughi congolesi”. La lettera si conclude con un appello agli Stati Uniti perché smettano di sostenere Uganda e Rwanda, pretendano dalle multinazionali il rispetto delle leggi e – dopo molti anni di ingerenze e complicità - tutelino i “diritti economici, politici e territoriali” di tutti i paesi della regione dei Grandi Laghi. Nel documento sono molti i riferimenti alle condizioni di vita della popolazione civile, ostaggio di campagne militari, incursioni ribelli e miseria. Testimonianze raccolte in questi giorni nella Provincia orientale, non lontano dai confini con Uganda e Sudan, confermano nuovi agguati riconducibili all’Esercito di resistenza del Signore (Lord’s Resistance Army, Lra): questa volta sono stati presi di mira i villaggi di Ngilima e Bangadi, nei pressi della cittadina di Dungu.
F TUNISIA 10/01 Un missionario italiano dei Padri Bianchi, Gianbattista Maffi di 54 anni, originariodi Mozzanica (Bergamo) è morto martedì a Tunisi in seguito ad un incendio nella Biblioteca dell’Ibla, l’Istituto di Belle Lettere Arabe; era il direttore della Biblioteca dell'Ibla, l'istituto fondato dai Missionari d’Africa come centro di ricerche e di dialogo cristiano-islamico. Nonostante il rapido intervento, i vigili del fuoco non hanno potuto far nulla per salvare il religioso. Padre Richard Baawobr, primo consigliere dei Padri Bianchi, nel ricordarlo, ha detto tra l’altro alla Radio Vaticana: “Quello che era veramente importante per lui era il dialogo, era l’incontro con l’altro, diverso da sé, e lo faceva sempre nel rispetto dell’altro. Era un intellettuale e ha sempre avuto il grande desiderio di aiutare le persone a capire meglio l’Islam, per non averne paura e per entrare in dialogo con questa religione e con questo popolo” sottolineando sempre “di non avere paura dell’altro, perché diverso per la sua religione e per la sua cultura, ma di cercare di incontrarlo come un fratello, come una sorella”.

FAFGHANISTAN 03/01/10 La situazione politica in Afghanistan desta forti preoccupazioni e rischia la crisi irreversibile senza un nuovo e diverso impegno della comunità internazionale. L’analisi viene dall’ultimo rapporto sull’Afghanistan del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che lo ha esposto al Consiglio di sicurezza, in cui sottolinea che il paese vive una “congiuntura critica”, tra il continuo aggravarsi delle condizioni di sicurezza e la mancanza di una sufficiente coesione politica dopo le controverse elezioni presidenziali. “Non possiamo continuare come se le cose stessero andando per il meglio – ha detto Ban – C’è bisogno di un cambiamento di approccio da parte della comunità internazionale così come del governo afgano. Senza questo cambiamento le possibilità di successo si ridurranno ulteriormente”. Il Segretario generale ha aggiunto che le elezioni dell’Agosto scorso, infine assegnate al presidente uscente Hamid Karzai, “hanno rivelato serie lacune e debolezze che è necessario correggere prima che le Nazioni Unite prendano un uguale ruolo di supporto in future elezioni”. Tra le cose necessarie da cambiare, nel rapporto si indicano le procedure per la creazione della Commissione elettorale indipendente, il miglioramento del sistema di registrazione dei votanti e l’incremento dei meccanismi di monitoraggio del voto. Ban non crede comunque che l’elezione di Karzai e il ritiro dal ballottaggio del suo principale rivale Abdullah Abdullah siano la causa principale dell’attuale crisi politica. “Piuttosto – ha precisato - è la debolezza fin qui dimostrata nel processo di costruzione nazionale, incluso il perdurare della cultura dell’impunità, l’inadeguatezza delle forze di sicurezza, la corruzione e la scarsità di azioni per rafforzare le istituzioni che sono alla base della debolezza del processo elettorale”. Nonostante queste mancanza, “non c’è ragione di abbandonare quanto ottenuto finora” ha continuato nel suo rapporto all’organo esecutivo dell’Onu, sollecitando sia l’impegno del governo afgano nella direzione delle riforme sia la comunità internazionale perché sostenga i programmi di sviluppo.

F USA 03/01/10 Alfine anche negli Stati Uniti la condanna a morte fa marcia indietro: con un documento di 113 pagine, approvato lo scorso Ottobre ma divenuto pubblico soltanto ieri, il prestigioso American Law Institute (ALI) - che raccoglie 4000 tra docenti universitari di diritto, giudici e avvocati e che nel 1962 aveva gettato le basi per la gestione della pena di morte - annuncia di aver cambiato punto di vista “alla luce degli irresolubili ostacoli istituzionali e strutturali sulle garanzie relative a un sistema minimamente idoneo all’amministrazione della pena capitale”. La formula scelta per lo storico mutamento di posizione - che il “New York Times” definisce ‘spostamento tettonico nella teoria del diritto’ - pur nel suo complesso e compromissorio linguaggio indica una condanna ormai esplicita della pena di morte. La ‘lettera del presidente’, sulla prima pagina dell’ultimo numero dell’”ALI Reporter”, la newsletter trimestrale dell’istituto, fuga qualsiasi dubbio sulla piena e decisiva sconfessione in un riquadro intitolato “Council Affirms Membership Vote to WithdrawCapital Punishment Section from Model Penal Code”, il consiglio sostiene il voto dei membri per il ritiro della sezione ‘pena capitale’ dallo schema di codice penale. Il “New York Times” sottolinea inoltre che nel 2008 (primo anno della presidenza Obama) molti altri importanti sviluppi hanno riguardato la pena capitale: il numero di condanne a morte è diminuito, lo stato del New Mexico ha completamente eliminato la pena e quello dell’Ohio è passato a un metodo letale meno crudele. “Ma nessuna di queste novità - aggiunge il giornale - è così significativa come l’attuale mossa dell’istituto”. Tra coloro che aderiscono ad ALI - finora unico organismo qualificato favorevole alla pena di morte - non pochi avrebbero voluto una decisione più chiara e definitiva con l’immediata totale ripulsa della condanna capitale

F SIERRA LEONE 03/01/10 Con una decisione avallata dal presidente Ernest Koroma, il governo della Sierra Leone ha annunciato un bando sul trasporto e sull’esportazione di legname. La misura sarà presa per dare il tempo e l’opportunità di lavorare a una nuova legislazione in materia ambientale al fine di proteggere le ricche foreste del paese. Queste sono infatti diventate territorio incontrollato di sfruttamento da parte di società spesso straniere che esportano illegalmente all’estero il legname ricavato dall’abbattimento non autorizzato di grandi porzioni di foresta. Secondo fonti locali, solo dieci società sono in effetti autorizzate ad operare in questo ambito, ma in realtà sono molte di più quelle attive in un commercio particolarmente lucroso e praticamente esentasse. Finora, a causa anche dell’intervento poco regolare delle autorità non in grado di effettuare controlli a largo spettro, i trafficanti di legname hanno potuto agire indisturbati e superare i controlli alla dogana pagando sanzioni minime di poche centinaia di dollari americani; le nuove misure annunciate, dovrebbero consentire un maggiore controllo statale.

FUGANDA - 01/01/10 Bok Abudema, uno dei presunti comandanti dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra, Lord resistance army) - i ribelli che dopo 20 anni di violenze nel Nord Uganda sono ora sparpagliati in altri paesi (tra cui Sudan e R.d.Congo) - sarebbe stato ucciso ieri nella Repubblica centrafricana da militari di Kampala. “E’ un regalo all’Uganda per il nuovo anno” avrebbe detto un portavoce dell’esercito ugandese, ricordando che in Novembre era stato ucciso un altro presunto comandante, Okello Kutti, e in Settembre era statacatturata una guardia del corpo di Joseph Kony, capo dello Lra.

FPAKISTAN- 01/01/10 Continuano ad aumentare di ora in ora - e si avviano a sfiorare il centinaio - le vittime dell’attentato compiuto ieri nel villaggio di Shah Hasan Khan, nel distretto di Bannu, al confine con il Sud Waziristan, ritenuto roccaforte degli insorti, Più di 20 edifici che ospitavano numerose famiglie sono crollati a causa dello scoppio di tre quintali di esplosivi scagliati, abordo di un furgoncino, contro un piccolo campo sportivo in cui era in corso una partita di pallavolo. Secondo bilanci di varie fonti, continuano a essere soprattutto i civili - a centinaia e forse amigliaia - a perdere la vita per gli attentati e peri bombardamenti americani in Pakistan.

FCOLOMBIA 01/01/10 Una ventina di aderenti alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) sarebbero stati uccisi ieri e un altra dozzina catturati, nella zona di Vista Hermosa, zona centrale del paese, in seguito a un bombardamento deciso dal governo di Bogotà per sorprendere i guerriglieri che stavano festeggiando il Capodanno; soltanto pochi giorni fa , il presidente Alvaro Uribe aveva attribuito alle Farc il sequestro e l’uccisione di Luís Francisco Cuéllar, governatore della provincia di Caquetá; secondo alcuni testimoni, il ricco latifondista era stato trovato morto poche ore dopo essere stato portato via dalla sua casa di Florencia (560 chilometri a nord di Bogotà) da uomini che indossavano uniformi simili a quelle della polizia.

FYEMEN 01/01/10 Diverse centinaia di militari sono stati inviati dal governo nelle remote province montane di Marif e Jouf, nell’est del paese, dove si troverebbe le basi di ‘al Qaeda’ in cui sarebbe stato addestrato il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab di 23 anni, responsabile di un tentativo fallito di attentato a un volo Amsterdam-Detroit il giorno di Natale. Anche il presidente americano Barack Obama ha attribuito oggi per la prima volta responsabilità ad ‘al Qaeda’ per il fallito attentato, sostenendo che l’attentatore « veniva dallo Yemen, un paese colpito da grande povertà e sanguinose insurrezioni». Obama ha quindi ribadito il rafforzamento della partnership con il governo dello Yemen per l'addestramento e l'equipaggiamento delle forze di sicurezza di San'a oltre che per la condivisione delle informazioni nella lotta contro ‘al Qaeda’.