LA SANTITA’ DI UNA MADRE DI FAMIGLIA


 Nella testimonianza della figlia Emanuela Gianna Molla

di Silvana Ferrario

 

«Abbiamo pensato a due momenti diversi per celebrare i 110 anni di consacrazione della nostra chiesa – dice don Alfredo Maggioni – Il primo di riflessione è iniziato questa sera con una semplice cena e questo incontro con Emanuela Gianna Molla che ripercorre la santità della madre Gianna e il secondo gioioso, sarà domenica pomeriggio con il concerto».

Non è facile individuare Emanuela al suo arrivo al cine teatro. Minuta e semplice nei modi, quando prende la parola però è un vulcano e la sua voce squillante corre talmente veloce che si fa fatica a starle dietro. Ha molto da raccontare della vita della sua splendida famiglia: padre ingegnere, madre medico e quattro figli nati da quest’unione. Lei è l’ultima, nata qualche giorno prima che sua madre morisse 

«Per anni ho sofferto di questo e mi sono sentita spesso in colpa verso i miei fratelli e mio padre che è rimasto con la mamma solo sei anni della sua vita».

Ora Emanuela gira il mondo per la Fondazione Santa Gianna Beretta Molla, testimoniando questa santità della famiglia normale, affermando che è possibile per tutti là dove c’è fede e preghiera, dove c’è amore e condivisione.

Emanuela racconta alcuni risvolti sconosciuti della vita della sua mamma che ce la fanno apparire ancor più normale, nonostante la santità proclamata da papa Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.

«Mia madre, medico pediatra che aveva fatto della sua specializzazione una vera e propria missione verso il prossimo bisognoso, arrivata a 32 anni voleva raggiungere uno zio missionario in Brasile che aveva bisogno di personale medico. Ma lo zio la distolse da questi progetti, dicendole che era troppo fragile per sopportare quel clima torrido. Così lei cominciò a pensare al matrimonio, affidandosi alla Madonna e chiedendole di farle incontrare una brava persona. Dall’altra parte il suo futuro papà, ovvero Pietro Molla di dieci anni maggiore di Gianna, per lo stesso motivo, pregava la Madonna del buon Consiglio nella chiesa di Ponte Nuovo di Magenta».

Le preghiere vengono accolte e avviene l’incontro, la reciproca conoscenza e la corrispondenza scambiata durante un lungo viaggio di lavoro dell’Ingegner Molla. Emanuela legge degli stralci di queste lettere e mentre lui inizia con “stimata dottoressa” lei di riscontro risponde con “carissimo Pietro”, prendendo l’iniziativa di un rapporto più confidenziale che sfocerà di lì a breve nel matrimonio. Un matrimonio d’amore, di rispetto e di condivisione degli stessi valori, allietato dalla nascita dei figli e dall’impegno professionale e sociale dei due coniugi.

Questo fino al settembre del 1961 quando Gianna aspettava da soli due mesi Emanuela. Una grossa tumefazione all’addome diagnosticata come “fibroma uterino” la mise davanti a tre possibilità prospettate dai medici: isterectomia totale, asportazione del fibroma, interruzione della gravidanza. Gianna scelse quella meno traumatica per il bambino, ovvero l’asportazione del fibroma, ma, a quel tempo, decisamente più pericolosa per la mamma al momento del parto. Gianna entra in ospedale il venerdì santo ed Emanuela nasce il 21 aprile. Quasi subito inizia l’agonia per Gianna dovuta a una peritonite settica. Una settimana di sofferenza in cui Gianna chiede di non essere toccata né baciata dai famigliari.  Muore il 28 aprile, pregando.

«Mio padre è rimasto solo con quattro figli; ora siamo in tre perché anche Mariolina è morta. Quando lui, a causa dell’età, ha avuto bisogno di assistenza, io medico geriatra che ho sempre amato il mio lavoro, mi sono trovata davanti a una scelta scontata. Assistendo mio padre, ho potuto conoscere mia madre, la sua vita nei dettagli.

Lui mi ha raccontato del loro incontro, delle lettere scritte, della vita in famiglia. Quando poi è morto avrei potuto riprendere a fare il medico, ma sempre dando ascolto ai suoi consigli, ho capito che ci doveva essere qualcuno in famiglia a portare avanti la testimonianza della mamma e farla conoscere, come esempio di santità possibile nelle famiglie. Credo che la via della croce sia la via giusta per arrivare al Signore; è scomoda e difficile ma può donare un senso compiuto alla nostra vita».

Emanuela cerca più volte conferma alle sue parole, rivolgendosi direttamente a don Alfredo che su questo punto tiene a fare una precisazione personale.

«La sofferenza non è indispensabile per la santità. Si può essere santi nella serenità e nella mancanza di sofferenza, ma lottando per difendere i propri valori e mantenere una normalità di vita nella famiglia».

Prima di lasciare il cine teatro, molti degli intervenuti hanno salutato Emanuela e la sorella Laura, presente in sala. Un apprezzamento a questa testimonianza sincera portata avanti con semplicità, e impegno, come avrebbe voluto la loro mamma Gianna.

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